@antropologo-a-domicilio
Questo numero dell’Archivio è dedicato ai miei ex-studenti di Roma Tre.
All’università di Roma Tre, Campusinfesta - che era nata nell’università di Salerno - cambiò nome, si chiamò Festagrande. E cambiò pelle. Necessariamente. Roma Tre non era un vero e proprio campus, gli spazi bisognava rubarli alle aule di lezione, al cortile di passaggio tra un edificio e un altro, aggravato di una “piscina”, a un prato davanti un’aula remota.
E poi all’ottusità della burocrazia accademica.
“Non si può mangiare durante la festa!”.
“Ma se vi fate una passeggiata in Facoltà all’ora di pranzo, tutti mangiano dappertutto portandosi da casa le scodelle!”.
“Non si può mangiare durante la festa!”.
OK. Allora facciamo noi, facciamo da soli. Non c’è una lira. Ma ciò che serve non sono i soldi ma la fantasia (che parola arcaica!).
Ma si può studiare facendo festa? Sì, gli antropologi che studiano le feste, le fanno pure e dunque sì. Gli studenti di antropologia possono ben fare una festa e studiarla.
Campusinfesta perse la dimensione onnivora che ebbe all’università di Salerno, divenne meditativa, quasi intima, un po’ timida e persino soffusa. Si parlava molto, c’era molto da dire da parte degli studenti saliti in cattedra, noi professori (cioè io) avevamo da imparare, da capire che strano mondo stava diventando la classe degli studenti, da cui ci separavano generazioni non solo, ma anche interi mondi culturali.
Però si diventava cari, reciprocamente cari in quelle atmosfere. E non è vero che “l’antropologia serve agli umani come l’ornitologia agli uccelli”, come diceva ironicamente un famoso antropologo: cioè non serve. Serve, serve, se si fa carne e sangue.
Queste feste all’università avevano un notevole valore. Consentivano a chi vi partecipava di comprendere con il corpo che siamo immersi in relazioni con gli altri. E che queste relazioni sono “musicali”, e che non c’è un corpo singolo, ma corpi che sono in dialogo ritmico perenne.
Noi «danziamo» e «cantiamo» la nostra vita insieme agli altri. Al di là di ogni consapevolezza e volontà. Siamo orchestrati da - e orchestriamo noi stessi - forme ritmico-musicali che scandiscono come metronomi invisibili il timing della nostra vita di relazione e che affondano nei nostri corpi biologici. Vive e costanti proprio nel nostro abituale e quotidiano stare insieme, ma intensificate in alcune condizioni e situazioni, nei rituali ad esempio, o nell’innamoramento e nell’amicizia, nella stupefacente interazione musicale - vera «protomusica» umana - tra madre e bambino. In certi tipi di lavoro di gruppo, poi. Infine nei festeggiamenti.
Per gli esseri umani la vita è musicale, noi attraversiamo il tempo della nostra vita in strutture ritmiche e musicali, tra «beat», «intonazioni», «melodie», «accordi». Camminare, correre, saltare, strisciare, toccare, scavare, tagliare, cucire, bussare, accarezzare, scrivere, leggere, parlare, e tanto altro, sono azioni che hanno intrecci ritmico-musicali. E la musica migliore si fa con gli altri.
Негізгі бет 3 Festagrande a Roma3 - (A.27.3)
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