Varese, la “città giardino”, per i tanti parchi che la dipingono di verde, giardini di ville sorte fra il 18mo e 20mo secolo, appartenute a nobili e industriali, arrivati soprattutto da Milano. Luogo di villeggiatura per l’alta borghesia, la terra dei sette laghi ai piedi delle Prealpi Lombarde. Il cui nome sembra derivare dal celtico VARA, che vuole dire appunto acqua. 3 settembre 1950: lo stadio del rione Masnago è intitolato a Franco Ossola, l'attaccante varesino del Grande Torino, scomparso nella Tragedia di Superga. Fratello di Luigi, anch'egli calciatore del Varese, e Aldo, playmaker della Pallacanestro Varese, la Grande Ignis, con la quale gioca 10 finali consecutive di Coppa dei Campioni, vincendone 5. Al “Franco Ossola” si giocano partite che diventano storiche. Con Borghi il calcio varesino tocca il punto più alto: settimo posto in serie A dopo avere battuto squadroni come Milan, Inter, Roma e soprattutto Juventus. 4 febbraio 1968, campionato di serie A. La Juve arriva a Varese, in casa della terribile matricola allenata da Bruno Arcari. Una squadra spensierata e birbante, come lo sono molti dei giovani che la compongono. Capace di chiudere il girone di andata al secondo posto, appena due punti dietro la capolista Milan. Gli spalti del Franco Ossola non bastano a contenere la folla che invade il rione di Masnago. Il tabellino ufficiale riporta 19.700 spettatori paganti ai quali vanno aggiunti i 4mila abbonati. La partita finisce 5-0, con reti di Leonardi, Vastola e tripletta di quel diciannovenne catanese, Pietro Anastasi.
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Anastasi e il Varese: un destino già scritto
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