NASCITA DI UN'UTOPIA URBANA: CASTEL CLEMENTINO (SERVIGLIANO)
Il comune di Servigliano, situato lungo la media Valle del Tenna, nel Fermano, ha una lunga sto-ria che risale all’età romana, quando, intorno al 30 a.C. Ottaviano Augusto assegnò queste terre ai suoi veterani facendo sorgere nelle vicinanze la nuova città di Falerio Picenus (Piane di Falerone). Alcuni resti di edifici romani in opus cementitium si sono conservati lungo la Strada provinciale Matenana, nel tratto che conduce alla frazione di Curetta, a breve distanza dalla quale intorno al Mille sarebbe nato un centro abitato chiamato Servigliano. Era uno dei tanti castelli di Fermo e la sua storia trascorse fino al XVIII secolo seguendo quella dell’antica città vescovile. Già dal 1758 tuttavia parecchi edifici del paese cominciarono a mostrare forti lesioni causate da infiltrazioni d’acqua nel terreno sottostante. In seguito alle frane che ne conseguirono la popolazione - 1700 abitanti con il contado - lasciò gradualmente il piccolo centro, finché nel 1771 la vecchia Servigliano non restò disabitata. Vi restava il pericolante campanile della chiesa parrocchiale di S. Marco Evangelista, che sarebbe stato completamente abbattuto nel 1784.
A partire dal 1762 molte furono le “suppliche” delle autorità locali alla Congregazione del Buon Governo e ai pontefici stessi, perché ponessero riparo alle frane o almeno esentassero i serviglianesi dal peso delle tasse. Subito dopo l’elezione di papa Clemente XIV (Giovanni Ganganelli) avvenuta il 19 maggio 1769, il nobile di Servigliano Giandomenico Iaffei si recò a Roma allo scopo di perorare la causa del suo comune davanti allo stesso pontefice, il quale effettivamente si decise a intervenire. Infatti poco dopo, nello stesso anno 1769, la Congregazione del Buon Governo inviò il giovane architetto romano Virginio Bracci (1737-1769), esperto di scienze idrauliche, a Servigliano per studiare il problema. Il 23 novembre di quell’anno Bracci presentò una dettagliata relazione nella quale rendeva noto che i numerosi smottamenti del terreno avevano danneggiato e reso pericolanti tutti gli edifici del paese, così che nessun intervento riparatore era più possibile, e consigliava perciò l’edificazione di un nuovo centro urbano in pianura e precisamente in località S. Maria del Piano, presso un convento di Frati Minori Osservanti esistente da tre secoli. Il luogo era un grande prato da secoli adibito alle fiere di merci e bestiame che si tenevano il 26 marzo e il 9 settembre di ogni anno.
Il chirografo di Clemente XIV e l’edificazione di Castel Clementino
Il consiglio dell’architetto Bracci fu seguito dalle autorità pontifice e il 9 ottobre 1771 papa Clemente XIV (eletto appena due anni prima) indirizzò da Castelgandolfo un chirografo al cardinale Lante, prefetto della Congregazione del Buon Governo, con il quale deliberava la costruzione del nuovo incasato disegnato dallo stesso Bracci, stanziando a tale scopo la notevole somma di 15.000 scudi. Il documento si può considerare l’atto di nascita di Castel Clementino, come sarebbe stato chiamato il nuovo centro abitato in omaggio al pontefice che ne aveva deciso e finanziato la costruzione. Bracci ne aveva disegnato il mirabile impianto urbanistico quadrangolare, autentica realizzazione di una utopia settecentesca. La sua costruzione, con l’utilizzo di mattoni cotti, cui concorsero numerose fornaci dislocate nelle vicinanze, procedette alacremente dal 1772 al 1779.
L’impianto cui l’architetto Bracci si era chiaramente ispirato era quello delle città romane, caratterizzate da due assi viari, il cardo e il decumano, che si intersecavano. (...)
È molto interessante il modo in cui Bracci aveva concepito la distribuzione delle abitazioni civili assegnando spazi definiti, ma non ghettizzati, alle diverse classi sociali. Il perimetro quadrangolare della cittadina era infatti interamente occupato, invece che da mura vere e proprie (che nel tardo Settecento erano ormai inutili), da case a schiera di piccole dimensioni murate verso l’esterno e aperte verso l’interno del centro abitato. Esse erano destinate a operai, artigiani o piccoli negozianti.
Al centro dell’incasato erano stati edificati invece i palazzi di setteotto famiglie nobili; tra essi si distinguono in particolare Palazzo Navarra e Palazzo Filoni-Vecchiotti, quest’ultimo dotato di un’altana visibile da ogni angolo del paese.
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