La prima aria di Uberto è preceduta da un geniale recitativo che si svolge parte dietro le quinte, parte in scena, seguendo modelli più teatrali che musicali...in poche battute veniamo così a conoscere i caratteri dei due personaggi, il vecchio padrone e la sua serva Serpina...a prima vista potrebbero sembrarci le solite macchiette da commedia dell’arte, ma in realtà, almeno Uberto si rivelerà figura dai tratti umanissimi, universali e teneri...trait d’union fra la scena e il fuoriscena è la figura di Vespone, personaggio che non canta, ma che avrà parte importante nell’intreccio...proprio litigando con lui entra Serpina, accampando i suoi diritti (oggi diremmo sindacali)...e subito Uberto ci fa intendere, non tanto nascostamente, il suo debole per lei... ma tant’è deve fingere la sua collera per il fatto di non essere mai obbedito e sfoga la sua rabbia (vera? finta?) in un’aria che parrebbe la parodia delle arie d’ira delle opere serie, quelle in cui i personaggi (questi sì infuriati per davvero!) urlano e sbraitano su un accompagnamento di tremolii d’archi e squilli di trombe....qui le trombe non ci sono, ma i pochi archi hanno un bel daffare con i loro tremolii a sostenere le buffe urla del padrone che comicamente si rivolge ora a Serpina, urlandole che non ne può più della sua arroganza, ora a Vespone, chiedendone quasi l’approvazione ed esprimendo quindi la sua reale insicurezza...le parole sono poche, iterate, inframmezzate da comiche esclamazioni...ma come si fa, dico io, a non voler bene a un orsacchiotto come Uberto?
L’ARIA COL DA CAPO...è la forma più comune delle arie del Settecento, cioè dei pezzi solistici in cui i personaggi sviluppano il sentimento ispirato dalla situazione narrata nel recitativo...in pratica è come un sandwich, una specie di panino con due fette farcite dal companatico...e cioè una prima parte musicale piuttosto corposa, una parte centrale contrastante e la ripresa della parte iniziale...questa ripresa poteva essere, e quasi sempre era, tutta virtuosisticamente variata, un po’ come se la seconda fetta di pane fosse imburrata per renderla più appetitosa....i musicisti, i musicologi, gli storici, i critici e quelli che se ne intendono la chiamano forma ABA (che praticamente è la formula di un bel panino)....tre delle quattro arie de “La Serva Padrona” (la prima non contiamola, avendo come abbiamo detto solo la funzione di breve introduzione) e uno dei duetti hanno questa forma...ma quasi sempre le riprese della parte iniziale (A, ricordate!) vengono cantate senza variazioni (si risparmia sul burro...)...nelle opere serie è tutta un’altra cosa: qui di burro ce ne mettevano più che potevano...e il pubblico non aspettava altro che
sentire abbellimenti, gorgheggi, acuti e tutte quelle cose che facevano dire agli ascoltatori “Oh, che usignolo, che meraviglia, che portento, che acuti, che fiato!!!” (quest’ultima esclamazione nel senso di “Che note lunghe!”, non di “Che alito all’aglio!”...questo giudizio era riservato agli orchestrali, che stavano
proprio davanti al proscenio!)...
Paolo Vigo
interpreti:
Uberto: Luca Micheletti, Baritono
Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova
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