#antropologo-a-domicilio
Quando nel 1979 a Crotone Domenico Mangano e sua moglie Giuseppina cantarono questa Zeza, lui aveva 71 anni, lei 61. Si esibirono per Maria Ierardi, una studentessa che era andata a casa loro perché stava raccogliendo documenti orali della tradizione popolare per la sua tesi.
Non ebbero timidezze e resistenze, soprattutto lui. L’accolsero come una benvenuta, le offrirono rosolio e dolcetti, poi lui prese la sua chitarra, lei si sedette accanto, e cominciarono a cantare (con la sua tesi, Maria Ierardi si laureò in Antropologia culturale all’università di Salerno nell’anno 1979. Il relatore della tesi ero io).
Erano gentili e sorridenti, mi raccontò Maria Ierardi, minuti e allegri. Lui, inseparabile dalla chitarra, era pronto a cantare e suonare non solo la Zeza; lei, “timida e ritrosa - come scrisse nelle note di campo - guardava di tanto in tanto il marito ed era possibile scorgere, in quello sguardo, orgoglio contenuto”.
Un “contrasto di matrimonio” cantato da una coppia felice!
Dopo la Zeza, Domenico cantò gli stornelli del loro fidanzamento, quando lui andava sotto le finestre di Giuseppina.
Un “documento orale” non è un freddo reperto di museo, è un documento vivo di vite vissute. Si carica cioè delle emozioni e passioni degli interpreti. Sono pronto a scommettere che mentre Domenico e Giuseppina cantavano la Zeza, sorridevano, guardandosi in certi passaggi che
ricordavano la loro vita di coppia, cioè le loro relazioni, non conflittuali come quelle di Zeza e Carnalivari (perché non si chiama Pulcinella il personaggio in questa versione crotonese), ma anche sì, talvolta proprio come quelle.
Contrasti superati poi, visto che stavano là insieme, in quel salottino di casa loro, a cantare insieme per Maria Ierardi.
Quando ho deciso di mettere il mio archivio online (e l’ho chiamato “Tre compari musicanti” avendo in mente i personaggi del mio libro), ho soprattutto sentito la necessità di esprimere - di volta in volta, in ogni post - una “pietas” verso persone come Domenico e Giuseppina Mangano.
La pietas non è la pietà. Per i latini era “affetto, devozione, rispetto nei confronti dei genitori, della patria, di Dio” (De Mauro). Io la provo verso la gente comune che ho incontrato personalmente, o hanno incontrato i miei studenti e collaboratori, e che ha lasciato traccia di sé nell’archivio. Perché è una traccia che è rappresentativa dell’immenso mondo popolare del passato - e anche del presente - la vera spina dorsale della storia umana.
N.B. Un piccolo gioiello del dialetto locale: “m’asserpicava”.
Carnalivari rientra in casa e la trova al buio. Cosa fa? S’"asserpica", cioè muove le mani come serpenti sulle pareti. Piccolo cammeo di “Bellezza”.
Негізгі бет La Zeza cantata da Domenico e Giuseppina Mangano, Crotone, 1979 - (A.7)
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