Maria Valtorta - Evangelo cap. 372: Giorno di Parasceve. Uno scampato pericolo e il coraggio di Maria di Magdala.
30 gennaio 1946.
Il palazzo di Lazzaro, tramutato in dormitorio per quella notte, mostra corpi d’uomini dormienti sparsi per ogni dove. Le donne non si vedono. Forse sono state condotte nelle stanze superiori. L’alba chiara inalba lentamente la città, penetra nei cortili del palazzo, desta i primi cinguettii timidi fra il fogliame degli alberi, messi a fare ombria in essi, e i primi tubamenti dei colombi che dormono nell’incassatura del cornicione. Ma gli uomini non si destano. Stanchi e sazi di cibo e di emozioni, dormono e sognano…
Gesù esce senza rumore nel vestibolo e da esso passa nel cortile d’onore. Si lava ad una fonte chiara che canta al centro di esso, fra un quadrato di mortella al cui piede sono dei piccoli gigli molto simili ai cosiddetti mughetti francesi. Si ravvia e, sempre senza fare rumore, torna là dove è la scala che porta ai piani superiori e alla terrazza sulla casa. Sale sino lassù, a pregare, a meditare…
Passeggia lentamente avanti e indietro, e gli unici che lo vedono sono i colombi che, allungando il collo e sgrugolando, sembra si chiedano l’un l’altro: «Chi è costui?». Poi si appoggia al muretto e sta raccolto in Sé stesso, immobile. Infine alza il capo, forse richiamato dal primo apparire del sole che si alza da dietro i colli che celano Betania e la valle del Giordano, e guarda il panorama che è ai suoi piedi.
Il palazzo di Lazzaro è certo su una delle tante elevazioni del suolo che fanno delle vie di Gerusalemme un sali e scendi continuo, specie nelle meno belle. Quasi al centro della città, ma lievemente spinto verso sud ovest. Collocato su una bella strada che sfocia sul Sisto, formando con essa un T, domina la città bassa, avendo di fronte Bezeta, Moria e Ofel, e dietro ad essi la catena dell’Uliveto; sul dietro, e già appartenente al posto dove sorge, il monte Sion, mentre ai due fianchi l’occhio spazia a sud verso i colli meridionali, mentre al nord Bezeta nasconde molta parte di panorama. Ma, oltre la valle di Gihon, la testa calva del Golgota emerge giallastra nella luce rosea dell’aurora, lugubre sempre anche in questa luce lieta.
Gesù la guarda… Il suo sguardo, benché più virile e più pensoso, mi ricorda quello della lontana visione di Gesù dodicenne nella visione della disputa coi dottori. Ma ora, come allora, non è uno sguardo di terrore. No. È un dignitoso sguardo di eroe che guarda il suo campo di estrema battaglia.
Poi si volta a guardare i colli a meridione della città e dice: «La casa di Caifa!», e con lo sguardo segna come tutto un itinerario da quel punto al Getsemani, e poi al Tempio, e poi ancora guarda oltre la cinta della città, verso il Calvario…
Il sole intanto è sorto del tutto e la città si accende di luce…
Al portone del palazzo, dei colpi vigorosi vengono dati senza mettere sosta fra l’uno e l’altro. Gesù si sporge per vedere, ma il cornicione molto sporgente, mentre il portone è molto rientrante nelle pareti massicce, gli impediscono di vedere chi bussa. In compenso sente subito il vocìo dei dormenti che si destano, mentre il portone, aperto da Levi, viene richiuso con fragore. E poi sente il suo Nome gridato da tante voci di uomo e di donna… Si affretta a scendere dicendo: «Eccomi. Che volete?».
Coloro che lo chiamavano, non appena lo sentono, prendono d’assalto la scala salendo di corsa e vociando. Sono gli apostoli e i discepoli più antichi, e fra mezzo a loro è Giona, il conduttore del Getsemani. Parlano tutt’insieme e non si capisce nulla.
Gesù deve imporre con violenza che si fermino dove sono e facciano silenzio, per poterli calmare. Li raggiunge dicendo subito: «Che avviene?».
Altro subbuglio fragoroso, inutile perché incomprensibile. Dietro agli urlanti si affacciano volti mesti o stupefatti di donne e di discepoli…
«Parli uno per volta. Tu, Pietro, per primo».
«È venuto Giona… Ha detto che erano in tanti e che ti hanno cercato da per tutto. Lui è stato male tutta la notte, e poi all’apertura delle porte è andato da Giovanna e ha saputo che eri qui. Ma come facciamo? La Pasqua la dobbiamo pur fare!».
Giona del Getsemani rinforza la notizia dicendo: «Sì, mi hanno anche maltrattato. Io ho detto che non sapevo dove eri, che forse non tornavi. Ma hanno visto le vostre vesti e hanno capito che tornate al Getsemani. Non mi fare del male, Maestro! Io ti ho sempre ospitato con amore, e questa notte ho patito per Te. Ma… ma…».
«Non avere paura! Non ti metterò più in pericolo d’ora in poi. Non sosterò più in casa tua. Mi limiterò a venire di passaggio, nella notte, a pregare… Non me lo puoi vietare…». Gesù è dolcissimo verso lo spaurito Giona del Getsemani.
Ma la voce d’oro di Maria di Magdala prorompe veemente: «Da quando, o uomo, ti dimentichi che sei servo e che la condiscendenza nostra ti fa usare modi da padrone? Di chi la casa e l’uliveto?.....
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