Kṛṣṇa, anche nella grafia Krishna(devanagari: कृष्ण, Kṛṣṇa), è, nella tradizione religiosa induista, il nome di un avatara del dio Visnù e tale è considerato dalla corrente religiosa indicata come visnuismo, che considera Visnù come divinità principale, l'Essere supremo.
Nella corrente religiosa induista che va sotto il nome di krishnaismo egli è tuttavia considerato Dio, l'Essere supremo stesso e non semplicemente una sua manifestazione o un suo avatara per quanto completo(pūrṇāvatāra).
Così il Bhāgavata Purāṇa (testo kṛṣṇaita del IX secolo d.C.): «kṛṣṇas tu bhāgavan svayam»
Gli studiosi ritengono tuttavia che Krishna e Visnù in origine fossero due divinità distinte, fondendosi completamente nel V secolo d.C. quando, a partire dal Viṣṇu Purāṇa (testo visnuita del V secolo d.C.), Krishna è indicato come un avatara di Visnù.
Gli stretti collegamenti tra le due divinità sono tuttavia precedenti: una colonna del I secolo a.C. rinvenuta a Goṣuṇḍi associa Krishna a Nārāyaṇa (divinità già precedentemente associata a Visnù) mentre immagini relative al periodo dell'Impero Kushan (I secolo d.C.) rappresentano Krishna con le stesse armi di Visnà. Tale Krishna è, per gli studiosi, comunque il Krishna del Mahābhārata indicato come 'Krishna Vāsudeva', il capo dei vṛṣni di Mathura che uccide il malvagio Kaṃsa, perde la battaglia contro il re maghada Jarāsaṃda, giunge a Dvārakā (oggi Dwarka di fronte al Mar Arabico) e diviene consigliere dei Pāṇḍava contro i Kaurava nella battaglia di Kurukṣetra: accenni a tale epica oltre che nel Mahābhārata li si riscontrano anche nel Mahābhāṣya di Patañjali e nel buddhista Gatha Jātaka.
Al 'Krishna Vāsudeva', ovvero al Krishna del clan degli yādava che ha già incorporato un altro differente culto, quello di Vāsudeva proprio del clan dei vṛṣni dando vita al ciclo del Mahābhārata, si aggiunge, successivamente, un ulteriore Krishna, il 'Krishna Gopāla' considerato dagli studiosi inizialmente differenziato dal primo.
«Intorno al IV secolo d.C., la tradizione dei Bhāgavata- ossia la tradizione di Vāsudeva-Kṛṣṇa del Mahābhārata - assorbe un'altra tradizione, il culto di Kṛṣṇa fanciullo a Vṛndāvana - ovvero il culto di Kṛṣṇa Gopāla, il custode del bestiame.»
Secondo la tradizione Krishna, pur essendo di lignaggio del clan dei vṛṣn] di Mathura, fu adottato da una famiglia di pastori di etnia ābhīra che lo crebbe fino alla maturità quando il dio/eroe torna a Mathura per sconfiggere il malvagio Kaṃsa.
John Stratton Hawley spiega questa narrazione con il fatto che gli ābhīra, una etnia nomade che estendeva il suo raggio di azione dal Panjab fino al Deccan e alla pianura del Gange adoravano un 'Krishna Gopāla'. Quando gli ābhīra allargarono il loro confini giungendo nei pressi di Mathura (area del Braj) incontrando il clan dei vṛṣni il loro culto venne ad integrarsi con quello del 'Krishna Vāsudeva'.
Riassumendo, originariamente Krishna è un eroe divinizzato del clan degli yādava ed è probabile, secondo Ramchandra Narayan Dandekar che il Devakīputra Krishna a cui fa riferimento la Chāndogya Upaniṣad nel celebre XVII khaṇḍa contenuto nel III prapāṭaka:
«Avere fame, sete, rinunciare ai piaceri sessuali corrispondono all'uomo alla consacrazione sacrificale. Il cibo, il bere, il darsi ai piaceri corrispondono in lui agli upasada. Ridere, mangiare, godere dei piaceri sessuali corrisponde in lui ai canti e alle recitazioni. L'ascesi, le elemosine, la rettitudine, la non-violenza, l'essere veritiero corrispondono in lui ai doni dati [ai sacerdoti]. Per questo [durante le cerimonie sacrificali] si afferma: Ṣosyato asoṣṭa[ significando con questo la sua nuova nascita. L'abluzione finale (avabhṛtha, la conclusione del sacrificio) corrisponde alla sua morte. Quando Ghora Āṅgirasa ebbe insegnato ciò a Kṛṣṇa figlio di Devakī, disse: "Diviene libero dalla sete [del desiderio] [colui] che mentre muore si rifugia in questi tre detti: 'Tu sei l'eterno, l'eternamente stabile, sei l'essenza della vita'". Vi sono a questo riguardo due inni: "Poi videro la luce albeggiante dell'antico seme che arde al di là dei cieli", "Dopo la notte vedendo la luce superiore, Sūrya (il Sole), quella luce è il Dio (deva) tra gli dei e a lui siamo andati, alla luce suprema, alla luce suprema"»
Nel XVI secolo il teologo visnuita Rūpa Gosvāmi, nel suo Bhaktirasāmrṭasindhu, descrive due tipologie di amore verso Krishna, quindi verso Dio: la prima, indicata come vātsalya ("amore tenero"), è paragonabile all'amore dei genitori nei confronti dei propri figli piccoli; la seconda, detta mādhurya ("amore dolce"), è invece propria degli amanti.
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