Il tenente Giuseppe Bassi, ufficiale del nostro esercito sul fronte russo, ricorda l'attività di indottrinamento politico svolta dai fuoriusciti comunisti italiani rifugiatisi in Russia prima della seconda guerra mondiale perché perseguitati dal fascismo.
L'azione di proselitismo tentata da questi «commissari politici» si realizzava fra i nostri prigionieri all'interno dei campi di detenzione sovietici, dove i militari del Regio Esercito erano stati concentrati all'indomani della disfatta dell'ARMIR.
A Mosca, dove per i prigionieri veniva stampato un giornale battezzato «L'Alba», tutto veniva diretto da personalità come Palmiro Togliatti, Edoardo d'Onofrio e Paolo Robotti. Obiettivo dell'azione svolta fra i detenuti era quello di convincere i militari a volgersi non - genericamente - all'antifascismo quanto piuttosto ad un'opposizione al regime ispirata ai principi della dottrina comunista.
L'azione dei propagandisti non ebbe particolare successo perché la grande maggioranza dei militari italiani prigionieri dei sovietici la interpretarono come propaganda antipatriottica. Erano infatti convinti di trovarsi sul fronte russo non per adesione al fascismo ma per avere risposto alla chiamata della Patria in guerra.
L'ideologia insomma, di destra o di sinistra, aveva poco o nessuno spazio nei loro pensieri. La scuola e la cultura del tempo, trasmettevano ai giovani una formazione di stampo ottocentesco nella cui ottica la guerra altro non era altro - per dirla alla maniera di Carl von Clausewitz - che «la continuazione della politica con altri mezzi» e lo Stato il soggetto autorizzato a servirsene per i propri scopi.
Anche il propagandismo fascista nei campi tedeschi dove - dopo l’8 settembre - furono imprigionati gli Internati Militari Italiani, andò incontro al medesimo insuccesso.
Stefano Gambarotto
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