Marcello Citano era il partigiano “Sugo”, e con lui ho realizzato la sua ultima intervista, senza ovviamente saperlo. Andai a trovarlo un pomeriggio di Primavera, ero emozionato come quando si mangiano le prime ciliege della stagione e hanno quel gusto particolare, quasi di proibito. Il partigiano “Sugo” faceva parte della Brigata Senigallia e sognava un mondo più umano.
Marcello Citano, nome di battaglia “Partigiano Sugo”, nato il 3 dicembre 1926 a Firenze.
Il partigiano "Sugo" lo intervistai che aveva una enorme bombola dell'ossigeno accanto. Una bombola di acciaio, pesantissima. Ricordo che ogni tanto girava la manopola un po' di più, ogni tanto la chiudeva appena. "Ci parlo anche, con questa bombola dell'ossigeno", mi disse ridendo "ci parlo come se fossimo io e lei e basta".
Me lo disse con un sorriso da bambino, era felice: "Il periodo nel bosco, alla macchia, fu il più bello della mia vita. Era nata una situazione di fratellanza, per cui ci si voleva bene, era un bene che neanche i fratelli se lo vogliono. Quando dividi la morte e non hai i soldi, esce anche il buono che tu hai addosso. Io non ho mai trovato uno di questi compagni che ha preso mezza pera più di me. C'era da fare un'azione e i compagni si mettevano davanti, non dietro. E' stato davvero il periodo più bello della mia vita, perché ero di fronte a una società socialista, a una società umana, diversa".
Poi ogni tanto fermava l'intervista e mi chiedeva, in fiorentino: "Ma te che tu pensi?"
"Io la penso come te", rispondevo io.
Poi sorseggiava il caffè fatto dalla moglie, lì accanto, che non si perdeva una sua parola. "La bellezza stava nel pensiero di creare una società nuova, perché il partito fascista è una società fatta di soprusi, non invece non si volevano più i soprusi".
Sugo oggi ci guarda da lassù, pugno chiuso e fiorentino fino dentro le ossa.
Quando muore un partigiano è come se sparissero i ciliegi, gli aranci e gli olivi, come se sparissero le fragole e io non le avessi mai assaggiate. Come se non sapessi più come condire l’insalata ogni giorno. Come se non trovassi il giubbotto prima di uscire o il letto quando entro in camera.
Il mondo è più povero quando un partigiano muore, non c'è da essere ottimisti. Poi però ci penso e credo che l'ottimismo sia invece l'unica cosa che ci resta, e che tutti i partigiani e le partigiane che ho conosciuto io erano ottimisti in modo sfacciato, persistente; e siccome loro hanno già avuto ragione una volta, nel '43, io direi che dovremmo continuare a fidarci di loro ed essere ottimisti, vivi o morti non importi ma ottimisti sempre, alla faccia del tempo che passa ma con il volto al sole degli ideali che restano.
Ho realizzato con Marcello Citano, il partigiano "Sugo", la sua ultima intervista, senza ovviamente saperlo. Andai a trovarlo un pomeriggio di Primavera, ero emozionato come quando si mangiano le prime ciliege della stagione e hanno quel gusto particolare, quasi di proibito, quella volta però non sapevo che fossero anche le ultime.
E' una vita, ormai, che intervisto partigiane e partigiani. La memoria è il mio pallino e la mia disperazione. Il mio pungolo e uno dei tre o quattro motivi che rendono una vita piena.
Saverio Tommasi
Негізгі бет Partigiano Sugo: "Non volevamo solo liberare l'Italia dal fascismo, sognavamo una società Umana"
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