Attorno al 1012 giunse fra il Pratomagno e il Monte Falterona in mezzo alle foreste casentinesi e decise di fondare un eremo in una radura detta Campo di Maldolo (Campus Maldoli).
Incoraggiato dal vesc ovo di Arezzo Teodaldo, sotto la cui giurisdizione si trovava quella località, vi eresse 5 celle e un piccolo oratorio dedicato a san Salvatore Trasfigurato ovvero il primo nucleo dell'eremo. Successivamente furono aggiunte 15 celle al nucleo originario della struttura.
Oggi l'eremo di Camaldoli è uno dei due polmoni con cui respira la comunità monastica ivi presente: a poca distanza l'uno dall'altro sorgono infatti il monastero e l'eremo, i cui monaci appartengono alla stessa comunità, vivono la stessa regola, ma seguono stili di vita in parte diversi, dando maggior spazio alla vita comunitaria presso il monastero e privilegiando il raccoglimento personale presso l'eremo. I monaci che vivono all'eremo sono attualmente nove.
L'eremo, interamente cinto da un muro di sasso, si affaccia sulla strada con un portone, attraverso il quale si accede al cortile interno. Dal cortile si possono visitare:
- la foresteria, dove vengono accolti ospiti e pellegrini;
- la chiesa, con il coro monastico;
- l'antica cella di San Romualdo, oggi inglobata nell'edificio della biblioteca, che mantiene al suo interno la struttura tipica della cella eremitica: un corridoio che si snoda su tre lati, custodendo al suo interno gli spazi di vita del monaco, la stanza da letto, lo studio, la cappella. Questa struttura "a chiocciola", oltre ad offrire riparo dalle rigide temperature invernali, simboleggia il percorso interiore del monaco che cerca di entrare in se stesso;
- la sala dell'antico refettorio o capitolo.
Una cancellata separa il cortile dalla zona più interna riservata esclusivamente ai monaci che vivono in piccole celle separate.
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