"Sergio Neri sosteneva che abbiamo bisogno di diagnosi mobili, non certe. Una diagnosi certa è un destino, mentre una diagnosi di tipo concertato offre margini di manovra, di azione. Abbiamo bisogno dei "può darsi" quando abbiamo a che fare con un ragazzo con disabilità, anche se tutti tendono a vederlo come "diagnosticato" una volte per sempre, chiuso (1). In Italia abbiamo vissuto una stagione in cui si parlava molto di "diagnosi funzionale", di cui oggi si parla poco o niente. Questo libro aiuta in questa prospettiva. Vediamo perché è utile. Una diagnosi troppo assoluta può azzerare la curiosità di chi vive la quotidianità con una persona con disabilità: sembra che una diagnosi dica già tutto e ci si domanda cosa mai aggiungere, essendo incompetenti. Può accadere che, di fronte a chi, crescendo, presenta qualche aspetto che ci rende incerti, si cerchi la sicurezza rivolgendosi a chi riteniamo sia competente. Giusto. Comprensibile. Arriva una diagnosi. La diagnosi, però, non annulla le differenze individuali. Non individua un unico processo per tutti coloro che hanno la stessa diagnosi. Una diagnosi dovrebbe aprire alla curiosità di sapere a quale famiglia di meccanismi appartiene quel singolo individuo. La stessa parola "diagnosi" dovrebbe aprire alla curiosità. Per ragioni che non è il caso di approfondire in una prefazione, può accadere frequentemente che una diagnosi spenga l'interruttore della curiosità (3). Una diagnosi di autismo potrebbe far ritenere che esista "un" tipo di autismo. L'esperienza dice che ogni autismo è nello stesso tempo originale e si inserisce all'interno di "un" quadro diagnostico. Bisogna essere curiosi per scoprirne l'originalità che va oltre il quadro diagnostico. (...) Bernard Baars, neuroscienziato che insegna al Wright Institute a Berkeley, in California, propone una teoria della coscienza che chiama "teoria dello spazio di azione". Il cervello sarebbe organizzato in maniera funzionale intorno a uno spazio d'azione globale, dove possono essere elaborati solo pochi elementi alla volta. Nel nostro caso, una checklist può favorire la concentrazione dell'osservazione e permettere di cogliere cambiamenti anche minimi. Si tratta di un'idea che ha molti punti in comune con la concezione del Teatro Cartesiano di Dennett: (4) i pochissimi elementi presenti a un dato istante nella coscienza corrispondono a quelli posti al centro del palcoscenico. Baars immagina dunque la coscienza come una scena illuminata da un riflettore il cui fascio di luce permette di vedere solo parte di ciò che avviene sul palco? (5). Noi diremmo: sul palco della checklist. Ciò che rende "cosciente" un evento è dunque la sua elaborazione all'interno dello spazio d'azione globale e la sua trasmissione al resto del sistema”. (1) I. Illich, Esperti di troppo. Il paradosso delle professioni disabilitanti, Trento, Erickson, 2012. Nuova edizione italiana a cura di B. Bortoli. (2) I. Veronesi, L'alfabeto di Sergio Neri. Le parole del pensiero pedagogico di un grande educatore, Trento, Erickson, 2005. (3) L'autore di questa prefazione è stato favorito dalla lettura del libro dell'astrofisico statunitense Mario Livio, Curiosi. L'arte di fare domande giuste nella scienza e nella vita, Milano, Rizzoli, 2017. Questa lettura, che ha accompagnato quella del bel libro di Marco Pontis, ha creato una congiuntura favorevole a queste riflessioni. (4) Daniel Clement Dennett è nato a Boston nel 1942. Nel 1987 è stato nominato socio dell'American Academy of Arts and Sciences. Dal 2000 è professore di filosofia presso la Tufts University. Si veda D. Dennett, Coscienza. Che cos'è, Milano, Rizzoli, 1993. (5) B. Baars, In the theatre of consciousness. The workspace of the mind, NY, Oxford University Press, 1997. Andrea Canevaro Professore emerito dell’Università degli Studi di Bologna Dalla prefazione di Andrea Canevaro al libro di Marco Pontis, "Le check list per le autonomie. Materiali per valutare e insegnare le abilità di autonomia nelle disabilità complesse, Trento, Erickson, 2019.
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